La stampa ha ribattezzato il nuovo strumento nelle mani del fisco in due modi, “Evasometro” e “Risparmiometro”, ma che cos’è di preciso? Si tratta di un algoritmo informatico, ideato ormai quasi otto anni fa, dall’allora Governo Monti, che scandaglia in modo automatico tutti i dati che gli operatori finanziari (Banche, società di intermediazioni finanziaria, ecc) inviano (per obbligo di legge) all’Archivio dei rapporti finanziari, ed altri elementi presenti in Anagrafe Tributaria. In altre parole, l’obbiettivo è quello di passare da indagini finanziarie ad hoc fatte fisicamente da funzionari in carne ed ossa, su specifici contribuenti e richiedendo informazioni agli operatori finanziari ad una situazione in cui vi sono delle indagini finanziarie automatiche, al termine del quale vengono selezionati i contribuenti da sottoporre ad un controllo fatto da funzionari in carne ed ossa. L’intento è quindi quello di scovare le incongruenze tra redditi dichiarati ed evidenze bancarie, selezionando le situazioni meritevoli di un controllo.
Attualmente l’algoritmo è ancora in fase sperimentale, ma dal 2020 dovrebbe partire l’utilizzo in modo massivo.
Quali sono gli elementi che potrebbero far scattare i controlli?
È stato già osservato, che, se l’Agenzia delle entrate riscontra uno scostamento del 20-25 per cento tra quanto dichiarato come reddito e quanto determinato come differenza tra entrate ed uscite, il contribuente rischierà di finire nel mirino del Fisco. Il contribuente dovrà quindi essere in grado di giustificare tale scostamento.
Altro elemento che può rappresentare un indizio di evasione è dato dalla insufficiente o mancata movimentazione del conto corrente. Il fisco infatti può chiedersi: “come ha fatto a vivere il contribuente (spesa, carburante per l’auto, ecc) se il conto corrente non è stato poco o per niente utilizzato?”.
Dott. Tommaso Saglietti
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